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Crecchio (CH) - Abruzzo
 

E' un borgo dalle origini antichissime, il paese, infatti, conserva ancora l’aspetto di un piccolo borgo medievale dominato dal castello ducale.

 

Il comune di Crecchio è compreso all'interno della zona collinare che si estende dalla costa adriatica fino al limite della fascia pedemontana della Maiella. Nella parte nord-occidentale il territorio è solcato dal fiume Arielli e dal torrente Rifago che, nel loro corso, hanno delimitato ed isolato il colle su cui sorge il centro storico.

Nella parte orientale il terreno digrada dolcemente verso la valle del Moro. Non mancano alcune aree pianeggianti, in particolare in prossimità della Strada Provinciale (ex SS 538) “Marrucina” (località Pietra Lata, Casone e Macchie), nelle zone di Fonte Roberto e Ciaò (comprese tra Villa Mascitti e Casino Vezzani), nei dintorni di Villa Tucci (Padule, Pozzo e Capo Lemare) ed a Santa Maria Cardetola[4]. La pendenza diminuisce progressivamente da SW a NE. L'altimetria varia da un minimo di 86 m s.l.m., misurata nella valle dell'Arielli in località Piano di Morrecine (nella parte settentrionale del Comune), ad un massimo di 276 m s.l.m., registrato nei pressi della vecchia stazione ferroviaria (al confine con il comune di Arielli). La casa comunale è situata a 209 m s.l.m. .

 

La tradizione vuole che in antichità gli abitanti di Crecchio fossero stanziati nella frazione di Santa Maria Cardetola, a poca distanza dall'attuale centro abitato. Sporadici ritrovamenti, fra cui quello di una dea madre riferibile al paleolitico superiore, frammenti di ossidiana e selci lavorate, confermano la presenza dell'uomo sulle colline di Crecchio fin dall'epoca preistorica. I rinvenimenti di fondi di capanne dell'età del ferro, attestano inoltre una discreta produzione ceramica intorno al IX secolo a.C. L'antica Oriculum e scavi archeologici Nel 1846 lo studioso e archeologo lancianese A. Carabba, rinvenne a Santa Maria in Cardetola, un'epigrafe italica del VI secolo a.C. (conservata nel Museo Nazionale di Napoli) nella quale – secondo recenti interpretazioni – vi è il primo riferimento a Crecchio, chiamato in epoca arcaica Ok(r)ikam[13][15]; il ritrovamento di alcuni corredi funerari di origine Frentana fanno ipotizzare che il paese sia stato una loro roccaforte a guardia del confine con i Marrucini o dei tratturi che passavano nelle vicinanze. Divenuto municipio romano, il nome si trasformò in Ocriculum, e l'intero territorio fu diviso in grandi ville rustiche (aziende agricole) vocate alla coltivazione di cereali, vite ed ulivi. Le attuali frazioni e contrade sono ubicate proprio in prossimità di quelle ville[13]. Degli antichi insediamenti rimangono oggi solo i resti della Villa di Vassarella-Casino Vezzani, riportata alla luce durante gli scavi eseguiti tra il 1988 e il 1991 dalla Soprintendenza Archeologica d'Abruzzo, in collaborazione con l'Archeoclub d'Italia di Crecchio[13][16]. Le ville rimasero attive fino al VI-VII secolo d.C. esportando vino ed olio grazie al vicino porto di Ortona[13][17]. Dopo le devastazioni della guerra greco-gotica (535-553 d.C.), molti villaggi furono abbandonati e gli abitanti si insediarono nel colle ove sorge l'attuale centro storico. In un'epoca di invasioni e scorrerie esso era il luogo meglio difendibile, grazie alle due profonde vallate dell'Arielli e del Rifago. Secondo la tradizione il sito ospitava già all'epoca un tempio pagano (il sito di Santa Maria da Piedi) ed un fortilizio romano. Dai longobardi ai normanni

 

L'abitato cadde in mano longobarda probabilmente intorno alla fine del VII secolo d.C. e seguì le vicende storiche del Ducato di Spoleto, passando prima nelle mani dei Franchi e poi in quelle dei Normanni[13][15]. Nell'XI secolo il nuovo insediamento era ancora privo di cinta muraria: lo conferma la bolla di Papa Nicola II, del 1059, dove ci si riferisce ad una "Plebem Occrecle", senza però la qualifica di Castellum[18]. Durante la dominazione normanna venne migliorato l'apparato difensivo del borgo con la costruzione di mura, lungo le quali si aprivano due grandi porte, dette Da Capo (ingresso meridionale vicino al Castello) e Da Piedi (nella parte nord-orientale del paese), quest'ultima ancora oggi visibile. Nel 1189-92 Guglielmo Monaco, appartenente alla nobile famiglia Monaco di Crecchio, partecipò alla terza crociata. Agli inizi del XII secolo fu eretta l'imponente Torre dell'Ulivo e, intorno ad essa, nel corso degli anni successivi si formò l'intero castello. La torre faceva parte di un complesso e ramificato sistema di postazioni di avvistamento che dal mare toccava tutti i centri dell'entroterra e vigilava sulle terribili incursioni dei pirati ungari e saraceni. Dagli angioini agli aragonesi Nel 1279 il feudo di Crecchio venne incluso nella “Rassegna dei feudatari d'Abruzzo” voluta da Carlo I d'Angiò: da quest'ultima emerge che il feudo con il castello era sotto la giurisdizione di Guglielmo Morello. Tale feudo chiamato “di un Milite” era formato oltre che da Crecchio, anche da Arielli con il suo castello (completamente distrutto agli inizi del Novecento), Castel di Mucchia e metà del feudo di Pizzo Inferiore (nel comune di Ortona)[15]. Nel XIV secolo il borgo si arricchì di alcuni palazzi tra i quali emerge il Palazzo Monaco, dotato di torre signorile[13]. Napoleone Orsini, che possedette Crecchio nel '400 Nel 1406 Crecchio era feudo di Napoleone degli Orsini conte di Manoppello e Guardiagrele. Questi, ribellatosi alla corte di Napoli, venne privato del feudo che fu devoluto alla comunità di Lanciano dal re Ladislao[13]. Il 23 agosto 1406 Giovanni Di Masio, mastrogiurato di Lanciano, entrava nella "rocca e nella Torre di Ocrecchio"[18]. Il possesso da parte di Lanciano rappresentava per Crecchio l'opportunità di vendere agevolmente il grano che si produceva nel territorio, dato che Lanciano, con le sue fiere, era un punto di passaggio importante per i mercanti di ritorno da Venezia[18]. Crecchio feudo dei duchi di Bovino Nel 1627 Crecchio passò a Giovanni Bonanni dell'Aquila, che nel 1633 lo vendette ad Andrea Brancaccio di Napoli[13]. In occasione di tale vendita fu chiamato a stimare il valore del feudo un certo Scipione Paternò “tabulario napolitano”, che dà un'immagine molto nitida del borgo nel Seicento[19]: «Per distanza di miglia cinque in circa detta città di Lanciano possiede un altro Castello chiamato Crecchio di fuochi[20] 150 quale giace in uno spino di monte dolce et fruttato posto fra dui profondi valloni detti Lariella[21] et lo Rofare[22], ambe dui irrigati d'acque, uno delli quali corre per ordinario et tiene magior forza per essere acqua viva, et proprio quello della Riella del quale parlando riferisco a V.S. che nel suo corso sono posti sette molini[23] per fila con proportionata distanza […]. Et tornando nel corpo di detta terra ricordo a V.S. come si dignò vedere che il suo sito è piano, et in quello s'entra per dui porte, uno detta de Capo et l'altra de Piedi per le quali intrando si discorre et camina per diverse strade tutta la sua abitazione, et da ogni sua parte si gode vista di marina quale accompagnata con il sito et sua vista di montagna[24], si rende d'aria perfetta come si va confinando dalli molti vecchi e lor salute, fecondità di donne e vivacità di fanciulli, et benché questa terra sia posta nella estremità di questo monte, et se ne sta ben guardata et sicura per essere cinta da dui valloni alti e profondi conforme si è detto, non cesorno con ciò li primi loro habitatori restringere loro casamenta con muraglie le quali al presente parte sono erte et parte dirute. Il territorio di questa terra è parte piano et parte collinoso et costoso, il qual confina con il territorio de Ariella, Canosa, Tollo, Urtona la Villa Callara et il fiume Moro dividente il territorio di Frisa quale circuito di territorio così descritto sarà da miglia nove in circa dentro il quale si comprendono territorij seminatorj, erbaggi, vigne, boschi, oliveti, cannittera, orti di verdumi et altri frutti dal quale si percepiscono buona qualità di grani, orgi, legumi, vini, egli, lini […]. Li habitanti di questa terra sono al generale homini rustici foresi et fatigatori, quali si esercitano nella cultura et governo di territori alieni et propij […]. Le donne habitatrici si trattengono in filare et tessere tela[25] et in tempo di sugna et vendemmia si conducono di fuori a travagliar la loro vita secondo le stagioni et tempi. Contiguo essa terra da un tiro di balestra è una fonte d'acqua perfetta[26] con conserva di fabbrica dove si piglia l'acqua per bere, ma ad uso del lavare vanno nel vallone. Si regge et governa questa predetta terra da dui sindaci et uno mastrogiurato dalli quali unitamente si tien conto del buon governo et amministrazione della terra […]. Et in mezzo la terra predetta è la piazza pubblica in mezzo alla quale è fondata la chiesa matrice sotto il nome di Santo Salvatore dove sono dui preti inclusivi con l'arciprete […]. Vi è di più un'altra chiesa detta "Santa Maria di Piedi" iusta li mura di essa terra dove si celebra et vive con elemosine.» (Scipione Paternò, 1633) La famiglia Brancaccio mantenne il possesso di Crecchio fino al 1702. Il 15 ottobre 1705 il feudo fu acquistato da Gaetano Antonio D'Ambrosio, principe di Marzano. La vendita risultò però non valida ed il feudo venne quindi assegnato a Vincenzo Frasconi, nominato marchese di Crecchio. I D'Ambrosio ritornarono in possesso del feudo l'11 agosto 1734, mantenendolo fino al 1785, quando passò ai De Riseis, duchi di Bovino e baroni di Crecchio. Questi ultimi conservarono i beni ad esso legati fino al 15 novembre del 1958[18]. Crecchio nell'era moderna Dopo l'unità d'Italia, Crecchio fu inclusa nella provincia di Chieti, ex Principato di Abruzzo Citeriore, nel distretto di Ortona. Negli anni 1870-1879 fu realizzata la nuova strada provinciale per Canosa ed abbattuta la porta da Capo con il resto della cinta muraria[13]. Un'appassionata descrizione del paese viene fornita da Don Ermenegildo Blasioli, reverendo parroco di Crecchio, che nella novena di Sant'Elisabetta protettrice di Crecchio, datata 1901, così scriveva[13]: Giovanni De Riseis, duca di Bovino e barone di Crecchio «Chi guarda la regione Abruzzese Teatina in quel leggero declivio, che dalla maestosa Majella si distende al mare, rimane estatico, rimirandolo frastagliato da poggi e colline, ricoperto di rigogliosi vigneti, di verdeggianti ulivi, di alberi fruttiferi di ogni specie; con fiumicelli e rivi che, solcando questa terra de' Frentani, formando pittoresche ombrose valli, onde nell'estasi della contemplazione lo spettatore esclama Oh! panorama stupendo o terra fortunata, ove Iddio ha prodigato i beni della natura! Nel mezzo di questo declivio tra il monte e il mare, sul limite di una collina, costeggiata da due ruscelli, il Rifago ad oriente e l'Arielli a ponente, sorge un piccolo, ma delizioso paese a nome Crecchio, in latino Oppidum Ocreclii, ed anticamente chiamato col nomignolo Granaio di Lanciano. La vetustà del paese è attestata da alcune lastre di pietra sugli architravi delle porte, con iscrizioni e con le date degli anni 863, 1110 e 1263. Sono notevole di menzione; il campanile della Chiesa Parrocchiale di San Salvatore di stile del XVI secolo, ed il palazzo del Barone De Riseis con torri merlate di stile medievale. Nelle colline circostanti si scorgono ruderi di abitazioni distrutte dall'invasione dei barbari, restando piccolo avanzo di tante rovine questo paese, che un tempo era ben fortificato con cinta di muri.» (Don Ermenegildo Blasioli, 1901) La fuga di Vittorio Emanuele III a Crecchio (9 settembre 1943) Vittorio Emanuele III, ospitato al castello di Crecchio durante la fuga a Brindisi Il 9 settembre 1943, Crecchio ed il castello furono scenario di importanti eventi della storia d'Italia: nella loro fuga verso Brindisi, sostarono nel castello il re Vittorio Emanuele III, la Regina, il principe Umberto, Badoglio e l'intero Stato Maggiore. Qui si decisero le sorti della Monarchia Sabauda[13]. Il principe Umberto era già stato altre volte ospite del duca Giovanni De Riseis e della sua consorte Maria Antonietta d'Alife Gaetani d'Aragona, a Crecchio, negli anni 1926, 1928 e nel 1932 con Maria Josè[16]. Dall'inverno del 1943 all'estate del 1944, Crecchio, trovandosi sulla linea Gustav, subì le devastazioni dei bombardamenti: la Chiesa di San Rocco all'ingresso del paese fu rasa al suolo (e mai più ricostruita), il castello e la Torre dell'Ulivo gravemente danneggiati, la facciata settecentesca della chiesa di San Salvatore semidistrutta così come molte abitazioni.

 

 

 

 

 

 
 
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